RITRATTO FOTOGRAFICO PSICOMAGICO

Il ritratto fotografico può continuamente rimettere in discussione il “visuale” consueto. Nell’epoca post-coloniale l’altro è finalmente ed esattamente colui che vediamo allo specchio. La realizzazione di sé, suggerita dal lavoro fotografico; ci porta nel mondo, nella comunità degli amici, degli amanti, dei colleghi, a ridefinire il nostro ruolo (la stessa idea di alterità e di identità) fino a provocare in certi casi una trasformazione vera e propria, poiché siamo primariamente la conseguenza di ciò che gli altri vedono in noi. Presso i Greci, il conoscere se stessi andava sempre congiunto al prendersi cura di se stessi; nell’ottica di giungere a realizzare “il poter essere” che si cela in ogni individuo.

Come ci ricorda Angelo Schwartz nel libro – la fotografia fra comunicazione e mistificazione – l’individuo si riconosce come personaggio, se non compiutamente come persona. Il ritratto fotografico – costruito – diviene lo strumento ideale per far giocare l’adulto attraverso il processo performativo che ne rivela il proprio “personaggio”. Affinché si possa vivere in piena presenza – per quel noto istante eterno – la propria natura simbolica. Essere portatore di se stessi all’infinito. Di nuovo. Ed ancora, diversamente da prima. In quest’ottica interagiamo con i soggetti fotografati. Una volta individuato il “personaggio” si procede alla costruzione della scena. Nei minimi dettagli. L’abito su misura, lo sfondo, la scenografia concorrono a garantire una narrazione stratificata e personalizzata. Tale modalità restituisce inoltre alla fotografia quella dimensione temporale dilatata indispensabile a rieducare lo sguardo.

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